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I lavori di ristrutturazione trasformano un pollaio in una villa con piscina, ma l’impresa edile resta a secco. Nulla di nuovo? Non proprio se il committente è un alto ‘servitore dello Stato’.
Nessun pagamento, ma minacce a chi reclamava il dovuto
Un artigiano edile lavora, progetta e costruisce. Ma a volte finisce tutto con un pugno di mosche. O peggio, con minacce legate all’abuso di potere. È il caso che sta scuotendo Moncalieri, in provincia di Torino (già assurta alla cronaca per un altro caso di truffa in ambito di ristrutturazione).
In realtà, a uscirne male in questo caso è non tanto il mondo dell’edilizia quanto quello delle istituzioni. Partiamo dai fatti: la ristrutturazione, risalente al 2008, riguardava un immobile acquistato da un convento di suore (un’ex aia per animali da cortile), trasformato in una lussuosa villa con piscina di 200 metri quadri e giardino privato.
Chi è l’ufficiale che ricattava le imprese?
Al centro della vicenda, un nome pesante: Bernardino Vagnoni, ex colonnello dell’Arma dei Carabinieri, ora imputato con l’accusa di concussione. Secondo quanto emerso in aula, l’ufficiale avrebbe usato la sua posizione di potere per costringere un’impresa edile a rinunciare a un credito di circa 35.000 euro, minacciando controlli da parte della guardia di finanza e ispezioni dell’ispettorato del lavoro.
L’imprenditore coinvolto ha raccontato: “Veniva in ditta in divisa, con l’auto di servizio. Gli ho chiesto i soldi per due anni, poi ho smesso. Forse era peggio andare avanti. Con le sue conoscenze nella finanza, se vogliono farti smettere di lavorare, lo fanno”.
Il colonnello avrebbe tentato anche di pagare in nero, dichiarando apertamente di voler evitare l’IVA per ‘non ingrassare lo Stato’. Nessun contratto ufficiale, nessun direttore lavori, solo accordi orali aggiornati su foglietti volanti.
Secondo la procura, si tratta di un comportamento studiato per sfuggire ai vincoli fiscali, abusando del potere derivante dal proprio ruolo pubblico per piegare a proprio vantaggio una trattativa che avrebbe dovuto essere alla pari.
Chiesti sei anni per l’ex colonnello: ma la giustizia arriva tardi
Il pubblico ministero Giovanni Caspani ha chiesto sei anni di carcere per Vagnoni. La requisitoria parla chiaro: “Ha fornito giustificazioni incredibili, se non offensive per il tribunale”.
Ma il colonnello non è nuovo a questo tipo di rapporti: diversi artigiani hanno riferito di lavori eseguiti e mai pagati, anche se non tutti hanno ricevuto pressioni. E anche la suora di clausura che gli ha venduto la proprietà vanta un credito di oltre 50.000 euro, mai saldato.
A nulla sono valse le giustificazioni dell’ex ufficiale, secondo cui i lavori “non sarebbero stati eseguiti a regola d’arte”. In realtà, una causa civile è stata chiusa con una transazione, segno evidente di una trattativa forzata più che di veri vizi di costruzione.
Intanto, il dibattimento si è aperto con una pesante ombra: quella della prescrizione. Le minacce al centro del processo risalgono al 2009, ma i crediti contrattuali – quelli che derivano da un lavoro onesto, svolto sul campo – possono essere fatti valere fino a dieci anni dopo. Una linea sottile, accolta dal GUP, che colloca il presunto reato nel 2018, proprio allo spirare del termine civile.
Per chi lavora nel settore edile, per chi alza muri e costruisce case, sapere che basta aspettare per non pagare è più di un paradosso giuridico. È un insulto.