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Imbianchini, giardinieri e perfino facchini durante l’orario di servizio: a Torino otto poliziotti sono indagati per truffa e peculato. Ecco cosa avrebbero fatto e quali prove ci sono.
Poliziotti assenteisti: cosa è successo davvero
Quando si parla di assenteismo sul lavoro, di solito si pensa a timbrature false o a lunghe pause caffè. Ma a Torino la vicenda assume i contorni del surreale: secondo la procura, otto poliziotti avrebbero gestito una vera e propria “doppia vita”. Durante l’orario di servizio – e talvolta persino a bordo dei furgoni della Polizia di Stato – avrebbero svolto attività in nero: lavori di imbiancatura stanze, servizi di giardinaggio a domicilio e, perfino, scarico di rifiuti edili in discarica.
Insomma, invece della divisa e del tesserino, gli agenti della polizia di Torino avrebbero preferito vestire i panni di imbianchini e giardinieri per riscuotere (al nero) un doppio stipendio, durante le ore di servizio. Le accuse riguardano un periodo che va dall’inverno all’estate 2024. In quelle giornate, gli agenti figuravano presenti in caserma, ma in realtà, sostengono gli inquirenti, erano altrove a svolgere lavoretti extra.
Le accuse della procura: reati ipotizzati e rischi per gli indagati
L’indagine, coordinata dal sostituto procuratore Giovanni Caspani, ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di otto agenti. Le ipotesi di reato sono pesanti: falso, false attestazioni, truffa e peculato.
Al momento i poliziotti non risultano sospesi e continuano a prestare servizio, ma la prospettiva è quella di un processo. Difesi da un nutrito gruppo di avvocati, potranno presentare la loro versione dei fatti e tentare di smontare le accuse. La procura, però, sembra convinta di avere tra le mani prove difficili da contestare. Il cuore dell’accusa è chiaro: mentre risultavano in servizio e percepivano regolarmente lo stipendio, gli agenti avrebbero svolto lavori privati.
Prove fotografiche e video: la base dell’inchiesta sui poliziotti a Torino
Non si tratta di semplici sospetti. L’inchiesta si fonda su foto e video compromettenti, raccolti dagli inquirenti per mesi. Le immagini mostrerebbero alcuni degli indagati mentre svolgevano attività manuali durante l’orario di servizio, lontani dalla caserma.
A novembre sono scattate anche le perquisizioni nelle abitazioni: sequestrati cellulari e documenti che potrebbero confermare il quadro accusatorio. Un fascicolo che, a questo punto, sembra destinato a sfociare in una richiesta di rinvio a giudizio.
Perché i “tuttofare improvvisati” sono rischiosi (anche in divisa)
Lavorare in nero o improvvisarsi professionisti senza requisiti può comportare conseguenze serie, e proprio questo è uno dei punti più inquietanti del caso torinese:
- Lavoro in nero = sanzioni severe: chi impiega manodopera non regolare può incorrere in maxi-sanzioni, oggi maggiorate fino al 30 % (con il PNRR-bis) rispetto agli importi già previsti, con riferimento anche a enti pubblici.
- Esercizio abusivo di una professione: se l’attività svolta richiede abilitazioni specifiche – come interventi di giardinaggio su alberi ad alto fusto, o ristrutturazione impianto elettrico – un improvvisato rischia fino a 3 anni di reclusione e multe fino a 50.000 €; la sentenza può anche essere pubblicata, con effetti disciplinari duri.
- Assenza di tutele e rischi di sicurezza: questi lavori, oltre a essere spesso privi di coperture assicurative, possono mettere a rischio la sicurezza dell’individuo e di chi gli sta intorno. In caso di incidente grave, la responsabilità ricade anche su chi ha commissionato l’intervento.
La vicenda, che ha già fatto discutere l’opinione pubblica, mette in luce un paradosso: chi dovrebbe vigilare sul rispetto della legge, dando il buon esempio, è accusato di aggirarla con disinvoltura, abusando della divisa e della fiducia che essa dovrebbe ispirare.