17 Dicembre 2025
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Tassa sui pacchi: cosa è e chi deve pagarla?

Non solo Shein e Temu: il contributo sui pacchi sotto i 150 euro riguarderebbe tutte le spedizioni che partono e arrivano in Italia, anche dentro l’UE. Ecco cosa significa per consumatori, ma anche per e-commerce, artigiani e professionisti.

 

Cosa prevede davvero la nuova tassa sui pacchi?

 

Dentro la Legge di Bilancio 2026, dopo settimane di discussione, è spuntato un emendamento che introduce un contributo fisso di 2 euro per ogni spedizione di valore fino a 150 euro.

 

Nella prima formulazione si parlava di mini-pacchi in arrivo da Paesi extra UE, ma nei testi di accompagnamento viene chiarito che il prelievo è pensato per riguardare tutte le micro-spedizioni che partono e arrivano in Italia. Il motivo è tecnico e politico insieme: se si colpissero solo gli arrivi da fuori Europa, la misura rischierebbe di assomigliare a un dazio, difficile da difendere a Bruxelles. Secondo la relazione tecnica:

 

  • la norma interesserebbe circa 327 milioni di spedizioni;
  • il gettito atteso è di 122,5 milioni di euro nel 2026 e 245 milioni a regime dal 2027, con effetti che la stessa relazione quantifica in circa 201 milioni l’anno su base annua.

 

Genialata o tassa salva ricchi mascherata?

 

Ufficialmente, il contributo serve a coprire le spese amministrative e doganali legate alle spedizioni di beni di valore dichiarato non superiore a 150 euro. In pratica, però, questa mini-tassa sembra una copertura scelta dal governo per rimpiazzare un’altra entrata che è stata tolta strada facendo: la tassa sui dividendi finanziari delle aziende, cancellata dopo le critiche alla prima versione della manovra. Al posto di quella, arrivano:

 

  • i 2 euro a pacco sulle microspedizioni;
  • il raddoppio della Tobin tax sulle transazioni finanziarie (dallo 0,2% allo 0,4%).

 

La nuova tassa sui pacchi, quindi, non nasce nel vuoto: fa parte del classico gioco a somma zero della legge di bilancio. Se si elimina una tassa, se ne deve inserire un’altra che faccia cassa per una cifra simile.

 

Perché riguarda anche chi lavora (non solo chi compra fast fashion)

 

La comunicazione politica insiste sull’idea di una misura pensata per “proteggere le imprese italiane dal dumping” e “tassare i giganti dell’e-commerce”, con riferimenti espliciti a piattaforme come Shein e Temu. Ma se guardiamo ai dettagli, il quadro è meno rassicurante per chi, nel quotidiano, usa l’e-commerce come strumento di lavoro. La tassa da 2 euro:

 

  • si applica a tutte le spedizioni fino a 150 euro;
  • riguarda i pacchi che arrivano in Italia ma anche quelli che partono dall’Italia; quindi, incide anche sul commercio interno e intra-UE;
  • viene versata in dogana dal venditore, ma la stessa relazione sottolinea che di solito il costo viene ribaltato sul consumatore finale.

 

Tradotto per un’impresa, un artigiano o un installatore e che usa l’online per rifornirsi:

 

  • ogni ordine di utensili, minuteria, accessori bagno, illuminazione, cassette di attrezzi, ricambi sotto i 150 euro rischia di avere 2 euro di extra costo fisso solo per il fatto di essere un pacco “piccolo”;
  • non è una cifra che manda in crisi da sola, ma si somma a trasporti, rincari materiali, interessi, contributi, costi energetici;
  • se in un anno fai 100 ordini “mordi e fuggi” da 40–80 euro, stai parlando di 200 euro solo di tassa pacchi; con 200 spedizioni, i 2 euro a pacco diventano 400 euro, tutti a margine.

 

E questo vale sia per gli acquisti da portali internazionali sia per ordini a fornitori italiani ed europei che spediscono dal territorio nazionale. Il paradosso è evidente: mentre si dice di voler “proteggere il made in Italy”, si introduce un balzello fisso che pesa anche sugli acquisti interni e sulle relazioni commerciali all’interno dell’Unione.

 

Tassa sui pacchi: come fare acquisti online senza farsi travolgere?

 

Al netto delle valutazioni politiche, la tassa da 2 euro a pacco è – per ora – un emendamento agganciato alla Legge di Bilancio, che deve ancora essere approvata in via definitiva. Le possibilità che venga stravolto all’ultimo momento non sono altissime: la misura rientra in un pacchetto di correzioni dell’esecutivo presentato nelle fasi finali, proprio quando i margini per riscrivere i testi si riducono.

 

Se sei un’impresa o un professionista che usa l’e-commerce come canale abituale, ha senso iniziare a ragionare in modo più strategico sugli ordini:

 

  • evitare, dove possibile, le micro-spedizioni impulsive per un singolo articolo da poche decine di euro;
  • valutare se accorpare acquisti (senza fare scorte inutili) per ridurre il numero di pacchi e quindi di contributi;
  • confrontare meglio i fornitori locali o di zona, che magari permettono il ritiro in sede o la consegna organizzata, rispetto all’ordine singolo via web;
  • rendere più esplicita nei preventivi la voce “costi di approvvigionamento”, per non ritrovarti a dover assorbire in silenzio l’ennesimo costo fisso.

 

La tassa sui pacchi, da sola, non basterà a riscrivere i bilanci. Ma è il classico esempio di micro-misura che, sommata a tutto il resto, può diventare fastidiosa proprio per quella galassia di imprese e professionisti che oggi usano il web non per lo shopping compulsivo, ma per tenere in piedi l’operatività.

 

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