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In Cina crolla un ponte autostradale appena inaugurato: il video virale fa il giro del mondo. In Italia si apre un dibattito scomodo: e se fosse stato il Ponte sullo Stretto?
Ponte da record in Cina cede dopo pochi mesi
Un ponte considerato un simbolo di modernità, costruito per collegare con maggiore facilità l’altopiano tibetano al resto della Cina, è durato appena qualche mese. Si tratta del ponte Hongqi, nella provincia sud-occidentale del Sichuan. La struttura – lunga circa 758 metri, sospesa a oltre 600 metri sopra una gola – è stata presentata come un gioiello di ingegneria e un modello di efficienza cinese nelle grandi opere pubbliche.
Poi, le crepe. Prima sui versanti della montagna, poi lungo le strade di accesso e i pendii vicini. Le autorità locali, insospettite, hanno deciso di chiudere il traffico sul ponte e di vietarne l’uso agli automobilisti. Una scelta che, con il senno di poi, ha letteralmente salvato vite umane.
Nel giro di poche ore, la situazione è precipitata. La frana ha travolto il versante montuoso e un’intera arcata del ponte è crollata nel vuoto, trascinata giù dal cedimento del terreno. Nessun veicolo stava transitando in quel momento, ma le immagini del collasso restano agghiaccianti.
Il video del crollo è da panico
Il crollo del ponte Hongqi è stato ripreso in un video amatoriale che, nel giro di poche ore, ha fatto il giro del mondo. Si vedono porzioni enormi della struttura sbriciolarsi e scivolare giù insieme al versante, in una nuvola di polvere. È l’incubo di qualsiasi automobilista: una strada che scompare sotto le ruote, senza possibilità di fuga.
La società appaltatrice Sichuan Road & Bridge Group aveva completato l’opera all’inizio dell’anno. L’inaugurazione era stata celebrata con dichiarazioni entusiaste sulle possibilità di sviluppo economico che il collegamento avrebbe portato. Oggi, invece, le immagini del crollo alimentano un dibattito sempre più acceso sulla sicurezza delle infrastrutture e sui controlli preventivi.
È infatti difficile non porsi una domanda: com’è possibile che un ponte di quelle dimensioni, frutto di un investimento pubblico significativo e aperto da pochissimo tempo, crolli per crepe e frane? È stato un evento eccezionale o i segnali erano stati sottovalutati? Le autorità locali hanno avuto il merito di chiudere il traffico in tempo, ma questo non cancella il fatto che il ponte non avrebbe mai dovuto trovarsi in una situazione così critica dopo pochi mesi di vita.
E se succedesse al Ponte sullo Stretto?
È qui che la vicenda cinese tocca da vicino anche l’Italia. Da anni si discute del Ponte sullo Stretto di Messina, un’opera gigantesca in un’area notoriamente complessa dal punto di vista sismico e geologico, esposta a venti forti, correnti, frane e dissesti idrogeologici. Il crollo del ponte Hongqi mostra un paradosso inquietante: anche dove le opere vengono costruite in tempi record e celebrate come trofei tecnologici, il margine di errore può trasformarsi in disastro.
La domanda, allora, è inevitabile: se un domani qualcosa andasse storto sullo Stretto, chi si assumerebbe davvero la responsabilità? Chi metterebbe la firma, non solo sui progetti, ma sul rischio concreto che un’infrastruttura di quel tipo possa trovarsi in difficoltà dopo pochi anni, o addirittura mesi, a causa di frane, movimenti del terreno o errori di valutazione?
Non basta dire che “i calcoli strutturali sono a norma” o che “la tecnologia di oggi è avanzatissima”. In Cina, un ponte modernissimo, costruito con ingenti fondi pubblici e lodato come opera strategica, è stato chiuso per crepe e poi inghiottito da una frana. Nessuna vittima, per fortuna. Ma l’incidente lascia una lezione chiara: quando si parla di mega-infrastrutture in aree fragili, la domanda non è se l’evento estremo capiterà, ma cosa succederà quando capiterà.
Prima di trasformare lo Stretto di Messina in un laboratorio di rischi, forse dovremmo guardare con più attenzione a quei video che arrivano dal Sichuan. Perché dietro ogni immagine spettacolare di un ponte sospeso, c’è sempre una domanda che fa paura ma che andrebbe posta con brutalità: siamo davvero pronti a pagare il conto (non solo economico)?


