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Fotovoltaico su terreno agricolo: ecco perché il Comune non può più dire no. Una recente sentenza del TAR Campania rimette in discussione i poteri dei Comuni nel vietare gli impianti fotovoltaici su terreni agricoli. Ma fino a che punto le amministrazioni locali possono realmente opporsi alla transizione energetica?
Si può vietare il fotovoltaico sui terreni agricoli?
Una nuova sentenza del TAR Campania potrebbe cambiare radicalmente le regole del gioco per chi intende installare impianti fotovoltaici sui terreni agricoli. Al centro della disputa, una Procedura Abilitativa Semplificata (PAS) presentata da una società per la realizzazione di un impianto da 1,98 MWac in un’area agricola situata in un Comune della Campania.
Il Comune aveva rigettato la richiesta, appellandosi alle norme attuative del Piano Urbanistico Comunale (PUC), approvato nel luglio 2024, che vietano esplicitamente la costruzione di impianti fotovoltaici a terra su zone agricole. Inoltre, l’area interessata era classificata come Ambito di Trasformazione Produttivo (ATP6), soggetta a una pianificazione attuativa pubblica.
La società, però, ha impugnato il provvedimento, sostenendo che il sito rientrasse tra le cosiddette “aree idonee” definite dal Decreto legislativo 199/2021. La palla è quindi passata ai giudici del TAR, che con la sentenza n. 881/2025 hanno bocciato il divieto imposto dal Comune, giudicandolo illegittimo e in contrasto con le normative statali e comunitarie.
Secondo il tribunale amministrativo, il Comune ha ecceduto le proprie competenze. Le norme nazionali e regionali, non quelle comunali, stabiliscono dove e come si possa o non si possa installare un impianto agrivoltaico. Inoltre, divieti assoluti come quello contestato violano i principi sanciti dal Regolamento UE 2022/2577, che impone agli Stati membri di promuovere attivamente la diffusione delle energie rinnovabili come interesse pubblico prevalente.
Quali sono le aree agricole “idonee” per il fotovoltaico?
Il tema delle aree idonee per installare il fotovoltaico su terreno agricolo non è affatto nuovo, ma continua a generare interpretazioni discordanti e un alto numero di contenziosi. Il Decreto legislativo 199/2021 ha introdotto per la prima volta in Italia la nozione di “aree idonee” per l’installazione di impianti da fonti rinnovabili. A distanza di tre anni, però, la chiarezza normativa sembra ancora lontana.
Nel 2024 è stato approvato il cosiddetto Decreto Aree Idonee, che assegna alle Regioni il compito di individuare le superfici idonee, escludere le zone sensibili e stabilire i criteri per la selezione. In teoria, un passo avanti verso una regolamentazione coerente. In pratica, ogni Regione applica criteri differenti, generando un mosaico normativo che complica il lavoro degli operatori del settore.
Come se non bastasse, a maggio 2025 il TAR Lazio ha annullato due commi dell’articolo 7 del decreto, obbligando il Ministero dell’Ambiente a intervenire nuovamente per correggere e ridefinire le linee guida. Un vero e proprio caos normativo che rallenta gli investimenti e lascia troppi margini di incertezza.
In attesa di un quadro definitivo, la regola generale rimane: è consentito installare impianti fotovoltaici a terra sul terreno agricolo, ma solo rispettando le normative nazionali, regionali e, dove previsto, locali.
Gli impianti sono ammessi su terreni agricoli, aree industriali, artigianali e commerciali, cave dismesse, stabilimenti produttivi, e in certi casi anche in prossimità di autostrade, ferrovie o aeroporti, sempre che siano garantiti i requisiti di sicurezza e le distanze minime.
Comuni e fotovoltaico: come regolarsi sui limiti imposti
Secondo i giudici amministrativi, i Comuni non possono introdurre divieti assoluti relativi ai pannelli fotovoltaici su terreni agricoli, ma possono ancora incidere attraverso la pianificazione urbanistica e paesaggistica, purché rispettino i vincoli posti dalle normative superiori. Questo significa che una certa discrezionalità resta, ma deve essere esercitata in modo conforme e proporzionato rispetto agli obiettivi nazionali ed europei.
Tuttavia, la realtà mostra che molti Comuni tendono ancora a ostacolare o rallentare gli iter autorizzativi, spesso per motivazioni legate alla tutela del paesaggio o alla difesa della vocazione agricola del territorio. Ma fino a che punto queste motivazioni possono giustificare il blocco di progetti compatibili con gli obiettivi energetici nazionali?
La sfida, oggi più che mai, è trovare un equilibrio tra tutela del territorio e accelerazione dello sviluppo sostenibile. Ma per farlo serve chiarezza normativa, coordinamento istituzionale e meno ambiguità interpretative. In caso contrario, sarà ancora una volta il TAR a dover fare luce là dove la politica continua a brancolare nel buio.