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“Miracolo a Milano” non è il titolo del film neorealista di De Sica, ma la trama di un caso di mala-edilizia che fa discutere: da due ruderi sorge una torre di lusso di 11 piani. E tutto nel pieno rispetto della legalità?
Da due ruderi settecenteschi a un grattacielo di monolocali
Laddove c’erano due ruderi ora c’è una torre. Proprio così: nel pieno centro storico di Milano, precisamente in via Anfiteatro 7, è in corso un intervento edilizio che sta facendo molto discutere.
Dove un tempo sorgevano due edifici fatiscenti risalenti al ‘700 oggi sorge una torre di 11 piani a uso residenziale, fatta di monolocali con terrazze, pensata per massimizzare i rendimenti immobiliari. Il progetto sorge nella zona Brera Corso Garibaldi, un’area dall’alto valore storico e culturale, già tutelata da vincoli paesaggistici.
La rabbia dei residenti è esplosa: una petizione è stata lanciata per fermare quello che viene definito un vero e proprio “mostro edilizio”, simbolo di una speculazione che ignora l’identità del quartiere ed esempio di come la riqualificazione urbana a Milano stia tradendo ogni buona premessa.
L’intervento rischia infatti di alterare in modo irreversibile il volto di una delle zone più amate e riconoscibili della città. Eppure, tutto sarebbe avvenuto nel pieno rispetto delle normative, almeno secondo la versione dell’architetto progettista Marco Emilio Cerri.
Scia al posto del Permesso di costruire: forzatura o zona grigia?
Il nodo più controverso dell’intero caso ruota attorno alla procedura urbanistica adottata per la realizzazione della nuova torre. A essere utilizzata non è stata una richiesta di Permesso di costruire con piano attuativo, come normalmente ci si aspetterebbe per un’opera di queste dimensioni, bensì una semplice Scia, cioè una Segnalazione certificata di inizio attività.
Secondo la difesa, si sarebbe trattato di una “ristrutturazione per manutenzione straordinaria”, poiché l’intervento sarebbe sorto sul sedime di due ruderi preesistenti, abbattuti nel 2007.
Una tesi che poggia su una sentenza del Consiglio di Stato datata 2021, già prodotta da Cerri davanti al gip come elemento centrale della propria strategia difensiva. In quella pronuncia, il Consiglio aveva respinto il ricorso avanzato da un gruppo di residenti della zona contro la società costruttrice, riconoscendo la legittimità dell’intervento edilizio sulla base della presenza di ruderi.
Il Consiglio non si è espresso solo sulla liceità formale dell’opera, bensì ha accettato l’idea che si potesse parlare di “ristrutturazione” anche in assenza di un corpo edilizio funzionale, purché ne esistessero tracce storiche e documentali, come quelle fornite in forma fotografica. Di fatto, ha avallato un impianto giuridico che trasforma due ruderi fatiscenti in un lasciapassare per la costruzione di edifici di lusso multipiano.
Secondo i legali dell’architetto, tale sentenza “fa giurisprudenza” e dovrebbe escludere qualsiasi accusa di illecito, ribadendo che l’intervento è avvenuto nel perimetro della legge. Ma resta un dubbio legittimo: se bastano una foto in bianco e nero e un riferimento catastale del Settecento per giustificare la nascita di una torre moderna di 11 piani, quante altre aree storiche della città sono a rischio?
Case popolari addio: chi ha tradito Brera?
A rendere la vicenda ancora più spinosa è il fatto che, originariamente, quel lotto era destinato alla realizzazione di case popolari per rispondere in modo pratico all’emergenza casa che a Milano raggiunge casi limite. Nel 1999, il Comune di Milano aveva approvato un progetto di ricostruzione dell’immobile proprio a questo scopo.
Poi, il dietrofront: niente edilizia popolare, ma valorizzazione immobiliare a favore di soggetti privati. Il risultato? Un’opera di lusso in una zona già satura e sotto pressione, con il rischio di contribuire ulteriormente alla gentrificazione del centro cittadino.
E non c’è solo la questione dei ruderi: Cerri è oggi sotto inchiesta per una serie di reati che vanno dalle false dichiarazioni alla mancata segnalazione di conflitti di interesse, fino ai falsi in atto pubblico legati ad altri progetti edilizi in via Cecchi e via Lamarmora. In quest’ultimo caso, secondo l’accusa, avrebbe ostacolato una pratica edilizia fino a ottenere l’incarico di progettazione.
La sensazione diffusa è quella di un sistema che riesce a piegare le leggi con abilità chirurgica per favorire operazioni immobiliari discutibili, sacrificando il bene comune sull’altare del profitto. E mentre si moltiplicano le inchieste e le polemiche, il cantiere di via Anfiteatro avanza senza sosta. E a Milano, città sempre più sotto assedio da parte di investitori e fondi immobiliari, la sensazione è che le regole esistano per essere reinterpretate, non rispettate.