
Scopri il contenuto di questa pagina in breve
Dai dieci ai cento euro per un certificato di morte “veloce”, fino a trecento per un verbale di invalidità mai eseguito. Nuovo scandalo di mazzette e documenti falsi incastra medici, impiegati e agenzie funebri. Ecco cosa è successo.
Un tariffario macabro per “accelerare la morte”
Non si tratta di una trama da film noir, ma di un’inchiesta reale che ha scosso la capitale. Secondo la Procura, medici e impiegati della Asl Rm1 avrebbero redatto falsi certificati di morte in cambio di piccole somme: da 10 a 100 euro per ridurre i tempi delle pratiche di sepoltura e trovare posto al cimitero.
Le agenzie funebri coinvolte, secondo gli inquirenti, spingevano per “fare in fretta”, garantendo ai parenti procedure rapide dietro compensi informali. Il tutto con l’aiuto di due dipendenti pubblici che avrebbero firmato documenti senza i necessari controlli.
Il meccanismo era semplice: si falsificava la certificazione medico necroscopica o quella di cremazione, permettendo il seppellimento in tempi record. E in cambio, ovviamente, scattava la mazzetta. Un giro di corruzione che, oltre a colpire la dignità della professione, mina la fiducia nelle istituzioni e sfrutta uno dei momenti più delicati per le famiglie: il lutto.
Certificati di morte falsi a Roma: le accuse
Nel mirino della magistratura ci sono 16 persone, tra cui medici legali, impiegati Inps e operatori di agenzie funebri di Roma. Le accuse spaziano da corruzione e falso in atto pubblico fino ad associazione a delinquere.
Secondo il pubblico ministero Alessandra Fini, i due principali indagati avrebbero ricevuto denaro in più occasioni. Il 17 ottobre 2019, per esempio, entrambi incassano una somma (non precisata) per firmare un certificato di cremazione.
In altri casi, si parla di pagamenti diretti: dieci euro, venti euro, cento euro. Una cifra irrisoria, se rapportata alla gravità della falsificazione del certificato di morte. Insomma, oltre ai costi della lapide e dei servizi funerari, i parenti erano costretti a pagare anche chi prometteva “scorciatoie”. Ma l’inchiesta non si ferma qui. Alcuni episodi riguardano falsi verbali di invalidità: visite mai avvenute, ma regolarmente certificate, dietro compensi fino a 300 euro.
La truffa del “caro estinto” non muore mai
Questa vicenda non è un episodio isolato ma parte di un sistema che si ripete a più riprese, perché il business del caro estinto non conosce fine. Il motivo è semplice: chi resta è fragile ed è disposto a pagare non solo per onorare chi non c’è più, per esempio con una tomba su misura e personalizzata, ma anche per accelerare un iter non sempre veloce e chiaro. Ed è qui che è più facile cedere ai richiami di scorciatoie illecite.
Come, è successo a Napoli dove è emerso un vero e proprio tariffario: 50 euro per un certificato di morte naturale, 70 euro per un test del DNA in caso di cremazione. A Ravenna, invece, si parla di un giro d’affari stimato in circa 100 mila euro all’anno con guadagni individuali di 15-20 mila euro per addetti alle camere mortuarie che, in cambio di corruzione, spingevano salme e funerali verso ditte “amiche”.
Per le famiglie, l’unica difesa è l’informazione: sapere che non tutto è corruttibile e che esistono norme e soggetti che operano nella trasparenza. Il consiglio è di non cedere al ricatto, ma – laddove si abbia un minimo sospetto – denunciare alle autorità.