15 Luglio 2025
Blog.Edilnet.it »» EdilNet News - Le notizie del giorno »» Casa, l’Italia torna al nero: ecco quanto ci guadagna chi evade sui lavori
Pagamento in contanti senza fattura per lavori in nero in casa. Due mani si scambiano una busta contenente banconote, con attrezzi da cantiere sullo sfondo.

Con bonus ridotti e controlli inefficaci, torna il rischio evasione soprattutto sulle seconde case: dati, cifre e pericoli di un ritorno al sommerso edilizio. Esploderà una bomba da 10 miliardi di euro?

 

Lavori in nero: le associazioni di categoria lanciano l’allarme

 

Il ritorno a regimi fiscali meno generosi rischia di avere un effetto collaterale devastante: la rinascita dei lavori in nero nelle ristrutturazioni di casa. È una realtà scomoda, ma le proiezioni parlano chiaro: in assenza di bonus fiscali incisivi, conviene evadere.

 

Parliamo di una bomba a orologeria da oltre 10 miliardi di euro, innescata dai piccoli interventi edili meno monitorabili, ma che rappresentano un’enorme fetta dell’economia sommersa.

 

Secondo i dati diffusi da CNA, quando nel 2011 le detrazioni per ristrutturazioni e riqualificazioni edilizie erano ferme rispettivamente al 36% e al 55%, la spesa complessiva per lavori edili si attestava intorno ai 16,7 miliardi.

 

Un’inezia se confrontata con i 100 miliardi superati dopo l’introduzione del Superbonus 110% con sconto in fattura e cessione del credito. Ora, con il ritorno a detrazioni del 30% (o 36% per le prime case) previsto dal 2026, ci si prepara a una brusca retromarcia.

 

Il rischio? Tornare a un’economia dell’edilizia “sommersa”, dove evadere le imposte torna ad essere un’opzione “conveniente”.

 

Basta guardare i numeri: rinunciando alla fattura, un’impresa può evitare l’IVA (almeno il 10%, ma anche fino al 22%), le imposte sui redditi (24% di Ires o circa il 35% di Irpef per redditi medio-alti), la ritenuta dell’11% e i contributi previdenziali. Anche senza sommare tutto, il risparmio netto è palese e il prezzo proposto al committente diventa più competitivo rispetto a fare le cose in regola.

 

Facciamo un confronto con l’agevolazione attuale: 36 euro all’anno per 10 anni su una spesa da mille euro. Troppo poco per disincentivare i lavori in nero, che offrono invece uno sconto immediato di 250 euro.

 

Davvero i bonus sono l’unico argine ai lavori in nero?

 

Non è una semplice opinione: i bonus fiscali hanno avuto un impatto diretto e dimostrabile nella riduzione del lavoro irregolare. Lo conferma l’Istat: tra il 2019 e il 2022, durante la fase di espansione dell’edilizia sostenuta dalle detrazioni, il tasso di occupazione irregolare nel settore è sceso dal 15,5% al 12,4%. Una riduzione più marcata rispetto alla media dell’economia italiana, dove il calo è stato solo del 2,3%.

 

Andrea Trevisani di Confartigianato è chiaro: “Il contrasto di interessi è efficace solo se l’incentivo è davvero attraente”. In altre parole, se il vantaggio fiscale non è sufficiente, il cittadino non ha alcun motivo per pretendere la fattura e la tracciabilità del lavoro. Ed è lì che il sommerso si espande.

 

Giuseppe Lorubio, presidente di Assotermica, rincara la dose con un’accusa implicita ma pesante: “Le politiche attuali hanno archiviato troppo in fretta un sistema virtuoso”. Parla dell’Ecobonus, che permetteva di unire detrazione, cessione del credito e sconto in fattura.

 

Uno schema che aveva centrato tre obiettivi in un colpo solo: spingere la ristrutturazione energetica, sostenere le imprese regolari e combattere il nero.

 

Perché le seconde case sono più a rischio evasione?

 

Le seconde case – spesso usate per le vacanze o messe in affitto – rappresentano un terreno fertile per l’evasione fiscale. In teoria agevolate al 36%, in pratica completamente fuori dal radar. Interventi tipici come l’installazione di condizionatori in estate o di caldaie in inverno rischiano di tornare ad essere oggetto di accordi “cash” senza alcuna tracciabilità.

 

Lo denuncia Federica Brancaccio, presidente dell’Ance, che non le manda a dire: “L’evasione è una vera piaga sociale”. E lo è soprattutto per i piccoli lavori, quelli che non richiedono permessi particolari e che si comunicano solo al Comune. Impossibili da monitorare in modo capillare, diventano terreno fertile per irregolarità, sfruttamento dei lavoratori, mancanza di sicurezza e concorrenza sleale.

 

Il tema è tanto fiscale quanto sociale. Dietro a un lavoro non dichiarato si cela la mancata contribuzione previdenziale, l’assenza di garanzie per i lavoratori e rischi gravi per la sicurezza degli immobili. A fronte di questo scenario, è chiaro che i bonus devono tornare ad essere realmente competitivi. Come afferma la stessa Brancaccio, “gli incentivi devono essere più vantaggiosi del nero”, altrimenti la legalità continuerà a perdere terreno.

 

Il recepimento italiano della direttiva europea sulle “Case green”, potrebbe (e dovrebbe) essere l’occasione per ripensare il sistema degli incentivi. Ma la domanda sorge spontanea: il legislatore sarà davvero all’altezza di questo compito?

 

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