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Con bonus ridotti e controlli inefficaci, torna il rischio evasione soprattutto sulle seconde case: dati, cifre e pericoli di un ritorno al sommerso edilizio. Esploderà una bomba da 10 miliardi di euro?
Lavori in nero: le associazioni di categoria lanciano l’allarme
Il ritorno a regimi fiscali meno generosi rischia di avere un effetto collaterale devastante: la rinascita dei lavori in nero nelle ristrutturazioni di casa. È una realtà scomoda, ma le proiezioni parlano chiaro: in assenza di bonus fiscali incisivi, conviene evadere.
Parliamo di una bomba a orologeria da oltre 10 miliardi di euro, innescata dai piccoli interventi edili meno monitorabili, ma che rappresentano un’enorme fetta dell’economia sommersa.
Secondo i dati diffusi da CNA, quando nel 2011 le detrazioni per ristrutturazioni e riqualificazioni edilizie erano ferme rispettivamente al 36% e al 55%, la spesa complessiva per lavori edili si attestava intorno ai 16,7 miliardi.
Un’inezia se confrontata con i 100 miliardi superati dopo l’introduzione del Superbonus 110% con sconto in fattura e cessione del credito. Ora, con il ritorno a detrazioni del 30% (o 36% per le prime case) previsto dal 2026, ci si prepara a una brusca retromarcia.
Il rischio? Tornare a un’economia dell’edilizia “sommersa”, dove evadere le imposte torna ad essere un’opzione “conveniente”.
Basta guardare i numeri: rinunciando alla fattura, un’impresa può evitare l’IVA (almeno il 10%, ma anche fino al 22%), le imposte sui redditi (24% di Ires o circa il 35% di Irpef per redditi medio-alti), la ritenuta dell’11% e i contributi previdenziali. Anche senza sommare tutto, il risparmio netto è palese e il prezzo proposto al committente diventa più competitivo rispetto a fare le cose in regola.
Facciamo un confronto con l’agevolazione attuale: 36 euro all’anno per 10 anni su una spesa da mille euro. Troppo poco per disincentivare i lavori in nero, che offrono invece uno sconto immediato di 250 euro.
Davvero i bonus sono l’unico argine ai lavori in nero?
Non è una semplice opinione: i bonus fiscali hanno avuto un impatto diretto e dimostrabile nella riduzione del lavoro irregolare. Lo conferma l’Istat: tra il 2019 e il 2022, durante la fase di espansione dell’edilizia sostenuta dalle detrazioni, il tasso di occupazione irregolare nel settore è sceso dal 15,5% al 12,4%. Una riduzione più marcata rispetto alla media dell’economia italiana, dove il calo è stato solo del 2,3%.
Andrea Trevisani di Confartigianato è chiaro: “Il contrasto di interessi è efficace solo se l’incentivo è davvero attraente”. In altre parole, se il vantaggio fiscale non è sufficiente, il cittadino non ha alcun motivo per pretendere la fattura e la tracciabilità del lavoro. Ed è lì che il sommerso si espande.
Giuseppe Lorubio, presidente di Assotermica, rincara la dose con un’accusa implicita ma pesante: “Le politiche attuali hanno archiviato troppo in fretta un sistema virtuoso”. Parla dell’Ecobonus, che permetteva di unire detrazione, cessione del credito e sconto in fattura.
Uno schema che aveva centrato tre obiettivi in un colpo solo: spingere la ristrutturazione energetica, sostenere le imprese regolari e combattere il nero.
Perché le seconde case sono più a rischio evasione?
Le seconde case – spesso usate per le vacanze o messe in affitto – rappresentano un terreno fertile per l’evasione fiscale. In teoria agevolate al 36%, in pratica completamente fuori dal radar. Interventi tipici come l’installazione di condizionatori in estate o di caldaie in inverno rischiano di tornare ad essere oggetto di accordi “cash” senza alcuna tracciabilità.
Lo denuncia Federica Brancaccio, presidente dell’Ance, che non le manda a dire: “L’evasione è una vera piaga sociale”. E lo è soprattutto per i piccoli lavori, quelli che non richiedono permessi particolari e che si comunicano solo al Comune. Impossibili da monitorare in modo capillare, diventano terreno fertile per irregolarità, sfruttamento dei lavoratori, mancanza di sicurezza e concorrenza sleale.
Il tema è tanto fiscale quanto sociale. Dietro a un lavoro non dichiarato si cela la mancata contribuzione previdenziale, l’assenza di garanzie per i lavoratori e rischi gravi per la sicurezza degli immobili. A fronte di questo scenario, è chiaro che i bonus devono tornare ad essere realmente competitivi. Come afferma la stessa Brancaccio, “gli incentivi devono essere più vantaggiosi del nero”, altrimenti la legalità continuerà a perdere terreno.
Il recepimento italiano della direttiva europea sulle “Case green”, potrebbe (e dovrebbe) essere l’occasione per ripensare il sistema degli incentivi. Ma la domanda sorge spontanea: il legislatore sarà davvero all’altezza di questo compito?